sabato 27 aprile 2013

La mia fortuna è di avermi incontrata a teatro


Da piccola mi spaventavano le bambole parlanti, l’innaturale era per me motivo di fuga.
Tutto ciò che non era in linea con la vita mi lasciava sgomenta e generava in me desiderio di spontaneità.
Crebbi però, assorbendo presto, che il trucco è spesso un buon artificio per sopravvivere.
Non sempre per vivere.
Sotterrai in fretta nelle vene la paura delle maschere e questa pian piano si trasformò in attrazione.
Nel sangue iniziò a scorrermi la voglia di avvicinarmi al mondo delle immagini, del sogno, dell’arte.
Il pomeriggio ero una Dea, la sera una principessa, la mattina un pirata.
Potevo essere qualunque cosa con un po’ di fantasia e dei colori.
Nacque da qui la mia passione per il teatro, meno per il cinema.
L’intrattenimento nella sua forma più costruita vede nel cinema la sua massima espressione, ma la vita prende forma nell'immediatezza su un palcoscenico.
Figlia di operai, ho sempre portato avanti un pensiero di popolarità del teatro, l’aspetto relazionale e terapeutico che caratterizza il mio approccio all'opera vede il messaggio teatrale come universale.
Un ritrovarsi nei diversi personaggi che ognuno di noi interpreta nel quotidiano e che in teatro prendono forma in uno spazio di sviluppo sensoriale.
Tutto ciò che mi faceva paura era ciò che non conoscevo di me, che non avevo integrato come aspetto. 
Allontanavo ciò che pensavo mi avrebbe impoverito mentre era lì per svelarmi il mio diavolo nascosto quello da cui trarre energia o da cui farsi risucchiare.
Quella bambola parlante mi dava modo di affrontare la mia paura più grande: quella di non essere reale.
Quel pagliaccio mi dava modo di guardare in faccia la mia tristezza che mascheravo con un sorriso stampato.
Quella rabbia che non riuscivo a esprimere sulla scena non era altro che un condizionamento svelato e l’incapacità di interpretare la seduzione, la paura di essere oggetto di attenzioni sessuali non volute.
Il teatro è uno dei modi migliori per affrontare i propri demoni, ci si entra insicuri, tremanti, finti e si finisce con l’uscirne autentici.



Pamela C. De Logu

giovedì 11 aprile 2013

Il burattino e la fata

Il burattino un giorno incontrò la fata, dapprima la odiò, le invidiò le sue caratteristiche perché in lui erano assenti e la maltrattò.
Poi se ne innamorò, i burattini non possono fare a meno delle fate perché sono le loro guide che lo vogliano o no.
La fata lo aiutò molto poi un giorno sparì. Il burattino si arrabbiò e credendo di vendicarsi di lei rinnegò tutti i valori che gli aveva lasciato in custodia.
Smise di crescere e iniziò a girovagare perdendo soldi dalle tasche scappando dalle emozioni, privandosi di sentire nel profondo al fine di trasformarsi. Non era pronto.
Ad un certo punto imboccò una via, divenne un burattino di successo, ricco e rispettato, tornava ogni tanto da quelli che lo conoscevano mostrando loro i suoi traguardi.
Ma il burattino era sempre solo, tutto sapeva fare tranne amare. Imitava un comportamento e si aspettava delle reazioni, se mancavano, iniziava a preoccuparsi perché qualcosa non stava andando secondo i suoi piani.
Mentre l’anima di un Mago vede, l’anima del burattino che non è ancora tornata a casa è lontana.
E il burattino in preda alle emozioni che più evitava e più tornavano forti, una notte non seppe più che fare, urlò di dolore e pianse gridando aiuto.
E’ lì che qualcosa accadde, il burattino depresso si ammalò e giunsero messaggi per un ritorno, un risveglio, che spesso aveva ignorato peggiorando il suo stato.
Prestando attenzione scoprì che avrebbe potuto vivere da sveglio, smettendola di essere vissuto.
Scoprì di essere infinito, presente, senza paura e non più schiavo delle emozioni e degli avvenimenti.
La voce della fata una notte in sogno lo rassicurò:
Qualunque cosa accade nella vita di un risvegliato è la cosa migliore per lui in quel momento, scopre di avere il potere di creare una realtà e sceglie i suoi pensieri con cura, non si lascia pensare.
Le persone accanto a lui non lo riconoscono più: è calmo, deciso, non ha paura di perdere perché sa che niente gli appartiene e così tutto giunge a lui al momento opportuno.
Ha fiducia e vive nella costante certezza che qualunque cosa accadrà, sarà per il suo massimo bene, non tratterrà perché sa che non esistono cose ma solo energie. E il fine dell’energia è fluire.







Il mattino seguente si svegliò nel suo letto, era un uomo sulla trentina, si guardò allo specchio e trovò un riflesso della fata negli occhi. Non lo aveva abbandonato né tradito. La sua vendetta era servita al solo scopo di giungere al punto di passaggio tra terra e cielo.

Viaggiò molto e portò a termine il progetto divino della Sua esistenza.

Lei aveva fatto quello che era necessario all'evoluzione del ciocco di legno, il suo compito era concluso.

Ora guardando, Egli vedeva all'altezza del cuore, non aveva più percezione della realtà.

Adesso la conosceva.

Adesso era un Mago.

P.