giovedì 13 marzo 2014

She come to them

Amo la fotografia, e come disse Antonioni: "E' stato proprio fotografando e ingrandendo la superficie delle cose che stavano intorno a me che io ho cercato di scoprire quello che c'era dietro queste cose, quello che c'era al di là"
Nella vita ci si risveglia nello scoprire, non è in fondo una metafora della scoperta quella della fotografia?
Quel riuscire a mostrare altro al di là dello scatto, della tecnica, del tempo nell'attenzione per ciò che si vuole rimandare.
L'arte tutta mi affascina perché essa non si arrende mai alla menzogna e continua a mostrare la sua verità sempre, anche attraverso gli insulti.
Mi hanno sempre attratto le storie dei personaggi divenuti famosi passando attraverso gli sputi.
Leggevo ultimamente che la Diane Arbus fu una di quelle, le sue foto non passarono indifferenti ma provocarono diciamo una certa reazione da parte del pubblico, ad ogni modo se oggi è famosa lo deve anche a quella saliva che doveva essere spesso tolta dalle sue esposizioni.
Essendo una ricercatrice mi dedico spesso a confrontare come la teoria della responsabilità per la propria vita passi attraverso l'esperienza dell'iniziazione al dolore, alla frustrazione per poi liberarsi e sorgere o meglio risorgere.
Spesso situazioni, personaggi, fasi storiche, eventi mi coinvolgono nella sincronicità.
Anche io come la Arbus ho sempre pensato che davvero ci sono cose che nessuno riesce a vedere se prima non vengono mostrate (lei diceva fotografate) ...She come to them...dicevano di lei, cioè lei va da loro, va verso loro, la fotografa stabiliva un contatto con i suoi soggetti, a volte profondo.
 Da quando ho compreso che anche la nostra parte ombra vuole il suo spazio e ne ha diritto, organizzo delle riunioni con questa.
 E vi assicuro che i miei mostri hanno sempre qualcosa di interessante da dirmi. Così facendo io vado da loro, non mi faccio inseguire, spaventare, vado da loro e li ascolto, mi connetto.
I soggetti della Arbus sono spesso diversamente unici.
Lei andava da loro, e quando qualcosa nella scena non andava bene non era la scena ad essere modificata, ma la fotografa ad adattarsi.
Non è meraviglioso? La fotografa si adattava, il soggetto è lì, perfetto com'è, non c'è niente da cambiare fuori.
Non devo abbellire i miei mostri, devo adattarmi io a loro, io sono la causa, loro la conseguenza, io ho creato loro, non me loro, essendo responsabile ho il dovere di stabilire un dialogo, dar loro spazio, ascolto, solo così posso fare della mia vita una meravigliosa opera d'arte.

Questa è la riflessione che mi ha suscitato la fotografia della Arbus: non importa se ti sputeranno perché stai mostrando qualcosa che non è stato mai visto di "te" o del mondo, non importa se ti sostituiranno perché la tua ampia gamma espressiva fa loro troppa paura, tu continua ad esporre alla luce, perché un giorno, uno qualunque, magari un certo Kubrick, vedendo una tua creazione ne proseguirà la vita dell'opera stessa e tu si,  potrai dire che non è vero che tutti sono sostituibili, perché tu non lo sei.


















Foto di Diane Arbus (ispiratrice della famosa scena del film "Shining" di Kubrick)


Ma ricordati che non c'è nessuno in cui credere, nemmeno un Dio, finché tu resti una bugia.


P.

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